Pensate a quanto possa essere strano arrivare all’anima delle situazioni che viviamo e degli oggetti che incontriamo quotidianamente, rileggendoli in forma fotografica con una chiave interpretativa per noi assolutamente inconsueta, con lo sguardo di una cultura esterna alla nostra, magari orientale. È questo, volendolo sintetizzare all’estremo, il percorso imbevuto di elementi esoterici, religione, filosofia e simbolismo alchemico, che Silvia Serenari persegue dalla fine degli anni “90 a questa parte. Un viaggio nelle profondità più inesplorate dell’anima della natura, sulla scorta delle teorie di James Hillman, iniziato nel 2003, quasi per paradosso in un contesto urbano.
“Dopo aver iniziato ad usare la fotografia, approfondito il misticismo e le filosofie orientali, è stato guardando la sopraelevata della tangenziale est di Roma che ho iniziato a mettere in pratica per la prima volta un modo di vivere e vedere la realtà che mi circondava in maniera diversa, trasfigurata. Grazie a questa nuova visione ho dato vita alla mia prima serie di lavori, Anima Urbis – racconta Silvia – ovvero la ricerca dell’anima della città, una sorta di mistica urbana, nella quale ho cercato di trasformare il caos metropolitano in leggi geometriche superiori. Ho costruito complesse strutture simmetriche e decorative, rifacendomi alle geometrie sacre, a partire da immagini estrapolate dal magma visivo e caotico che quotidianamente vivevo. Ho imparato così ad osservare la città e le altre ambientazioni, ogni volta esplorate, sotto un’altra luce. Spostatami a Firenze ho potuto immortalare un dettaglio del Duomo, e reiterandolo ho richiamato la simbologia mediorientale e creato un ponte tra due religioni apparentemente diverse. Inoltre, studiando i simboli di varie culture, ho constatato che, in fondo, tutte le dottrine spirituali, su molti principi, non sono in contrasto tra loro, anzi si assomigliano molto più di quanto si pensi. Con il lavoro sugli alberi (raccolto in Anima Arboris), scorgendo in essi una somiglianza con l’uomo per la loro tipicità intrinseca di elevarsi, ho invece lavorato sui simboli legati alla natura “terrestre” ed a quella “celeste” che entrambi condividono.
Una volta trasferitami a Livorno, nel 2010, ho ripreso quell’alchimia interrotta con il mare con cui avevo da sempre convissuto prima di soggiornare a Roma, e l’ho trasfigurata in una stella ad 8 punte, interpretandola come una madre dell’universo. Inizialmente ne ho immortalato lo scintillio formato dal contatto del sole con la superficie dell’acqua, racchiuso nel progetto Anima Maris Mater Universi, poi ne ho analizzato le fluttuazioni in Fluctuationem meam, quindi gli stati di quiete in De tranquillitate animi. Analizzando con attenzione gli interventi di Silvia, produzioni digitali manipolate e applicate a supporti molto variabili, dal plexiglass alla ceramica, si ha modo di scoprire anche un’altra ritualità martellante, quasi caleidoscopica, nella sua metodologia di riproduzione. In queste opere di formato solitamente contenuto si può anche rivedere una rappresentazione dei mandala, elementi chiave anche delle più influenti dottrine religiose orientali, dal buddismo all’induismo. In alcune elaborazioni l’artista è arrivata persino a valorizzare elementi impensabili, come una sua ciocca di capelli, base della serie Iter Mysticum (viaggio mistico), ancora una volta inserita in una cornice di simboli più o meno decifrabili: in questo caso il vento, emblema del divino, e le nuvole, una sorta di schermo tra volere divino e uomini.
Un lavoro che può essere considerato invece a se stante è quello riguardante la ricerca delle pietre forate, conosciute anche come Pietre di Odino, in cui l’artista si può dire aver messo letteralmente il cuore. “Ne ho trovate molte a Livorno, in una piccola spiaggetta che per motivi a me ignoti è una miniera inesauribile, e mi sono lasciata sedurre dalle loro proprietà, infatti fin dall’antichità sono state considerate dotate di poteri magici e sciamanici. Per più di un anno sono andata in cerca di questi gioielli del mare, incurante del freddo, della pioggia e della neve, ne ho accumulati migliaia”. Grazie a queste pietre Silvia ha dato vita, in occasione di eventi espositivi, ad un vero e proprio rituale, basato sulla formulazione di un desiderio, custodito in un foglietto e arrotolato in un foro, che in base alla credenza popolare, se lasciato nel foro della pietra per una notte, si sarebbe avverato. Accanto invece alla sua produzione più massiccia, alle opere di piccolo formato in due o tre dimensioni, l’artista toscana “gioca” molto con il video, oggi divenuto strumento per lei molto immediato e potremmo dire abituale, che ha cominciato a maneggiare sempre sulla tangenziale capitolina, fondendo i suoni del traffico con la musica classica, in un tappeto sonoro decisamente suggestivo. Una modalità forse ideale per entrare ancor meglio dentro all’universo di simboli e credenze orientali che ruotano attorno alla sua attività visionaria, indagatrice di sfumature della realtà, ambiente o paesaggio urbano, normalmente trascurate o osservate con superficialità.