Badare al vestito della fotografia senza lasciarsi sedurre dal fascino ammaliante del suo corpo, è una via espressiva che – l’attualità ci insegna – in pochi oggi hanno il coraggio di seguire. Eppure c’è qualcuno che, quasi fuori dal coro, ha fatto di questa strada impegnativa il centro indifferibile della propria ricerca artistica, e il suo percorso non fatica a risaltare in un mare di soluzioni di stile in cui il margine di personalizzazione appare sempre più ridotto, complice un’era che consente ormai proprio a chiunque di esprimersi con il mezzo fotografico, anche senza un bagaglio minimo di formazione alle spalle.
A sfidare questo mare apparentemente piatto di proposte è Matteo Suffritti (1978). Attivo a Cernusco sul Naviglio, il suo cammino artistico racconta di un’incessante e irreprimibile necessità di perfezionare la “cornice fotografica”, per dare a questo campo quell’onore che sembra essere un pò sceso in questo frangente storico. “Credo che in questo tempo sia importante restituire alla fotografia quella dignità che merita per la funzione rievocativa fondamentale che svolge da sempre – spiega Matteo – ritengo infatti che questo ambito abbia perso molto anche nell’immaginario comune, per motivi legati specialmente ad un’accessibilità che è indubbiamente nelle disponibilità di molti. Sta insomma vivendo quel periodo difficile di riassestamento che nell’Ottocento ha attraversato anche la pittura, e vedo perciò anche come mio compito quello di risollevarne l’immagine”.

Una piccola missione culturale che Matteo ha avviato dagli anni Dieci attraverso la creazione di minicicli di opere in cui il contenitore, che si tratti di soprammobili piuttosto che di soluzioni da parete, spesso si configura come valore aggiunto esteticamente rilevante, che attira inevitabilmente l’occhio su di sè. “Ho iniziato nel 2015 a realizzare questi box di dimensioni contenute che ospitano stampe a colori, e che propongo in varie forme e materiali, più spesso in metallo, con l’idea di immortalare frammenti di fugace e monotona quotidianità, elevandone così l’importanza nelle nostre vite. Inizialmente ero solito utilizzare parenti come soggetti. Il processo fotografico in questa modalità non viene sminuito, ma l’interesse è sicuramente catturato da tutto quello che gli ruota intorno. Le serie che continuo a portare avanti sotto questa forma sono le Circostanze e le Capsule Tower, che avevo sperimentato in occasione di una delle tre edizioni dell’Arteam Cup a cui ho partecipato. Mi piacerebbe tenerle attive sviluppandole attorno ad un soggetto che trovo personalmente interessante e adatto come può essere lo scenario di una persona immortalata nella sua stanza. Mentre spostandoci sul pianeta della fotoincisione, processo che mi serve per ottenere l’incisione di lastre di metallo attraverso bagno chimico, desidero tenere in vita anche le Comunità ospitanti, che considero mondi a se stanti ruotando attorno al tema dell’accoglienza e dell’immigrazione”.
Non sono mancati però, nel percorso di Matteo, esperimenti che, seppure non rinnegati, mostrano delle piccole criticità nella modalità di esposizione pretesa. Esempio eloquente è il ciclo “verde” Frammentazione ambientale, una riflessione sensibile e accorta sullo sfruttamento del pianeta operato dall’uomo: mentre Matteo non ha nulla da obiettare sul piano della resa estetica di questa serie, questa soluzione si scontra però talvolta con necessità di predisposizione tecnologica quale la retroilluminazione che un light box richiede, che logisticamente possono creare qualche difficoltà in più nella gestione dell’allestimento.

Uno scoglio superato evidentemente in maniera brillante e monumentale in Eloì, Eloì, lemà sabactàni? Installazione dal significato profondo, “accesa” nella chiesa di fondazione medievale dell’ex carcere di Sant’Agata di Bergamo nel 2016, sfrutta un’immagine atavica come la Crocifissione per fare luce, tramite neon inseriti nei cubi di legno in cui si scompone, su un altro tipo di dolore. Un disagio, comune nell’uomo contemporaneo, alla perenne ricerca di risposte mai arrivate. Un lavoro coerente “a suo modo”, con la vetrina spirituale di esposizione.
Tutt’altra atmosfera profonde il contesto dell’ultima partecipazione di Matteo, al progetto Riphoto – Oltre l’immagine, lo scorso autunno a Rivarolo Canavese (TO). “Mi piace riconoscere la validità e la freschezza di progetti come questo, a cui ho aderito con un’installazione che va in effetti oltre l’immagine come l’idea dell’iniziativa aveva in sè. Ma anche l’impegno dell’associazione Area Creativa 42 che l’ha organizzato, perchè ho scorto una capacità di guardare all’arte contemporanea incuriosendo, attraverso un’offerta varia, fatta di mostre diffuse, workshop dedicati a giovani curatori e diversi eventi collaterali. Insomma, un ambiente artisticamente stimolante. Non nascondo quindi il proposito vivo di tornare a parteciparvi per altre edizioni”. Nel frattempo Matteo continua a perfezionare le “orlature” delle sue foto impressioni, piccole architetture con il cuore permeato da scorci di vita quotidiana. Un marchio della casa ormai espressione forte e irreprimibile della sua identità artistica.
Una opinione su "La bellezza del quotidiano in foto, la formula di Matteo Suffritti 🎙️"