La fase 2 del lockdown rimette al centro della scena espositiva della Galleria Gió Marconi il primo periodo monocromo di Mario Schifano.
Comune denominatore di un’intera generazione di artisti, il monocromo viene per la prima volta esibito al pubblico da Schifano nel 1960 alla Galleria La Salita di Roma – dove l’artista si trasferisce nell’immediato dopoguerra – in una collettiva in cui compaiono nomi del calibro di Festa, Uncini, Lo Savio e Angeli.
È il periodo di Schifano che va dal 1960 al 1962, quello della conversione al monocolore dopo gli anni “50 informali, e dove in risposta proprio al momento precedente, la superficie della tela viene azzerata, con smalti industriali che creano un effetto lucido di grande impatto visivo, e con il colore spesso steso in maniera non uniforme e grondante.
Sono una decina di lavori, tra cui compare quel Qualcos’altro indefinito, che dà il titolo alla mostra allo Studio Marconi, che poi si configura come l’ennesimo ritorno dell’autore eversivo nella location meneghina: cioè un’opera del 1960, e un polittico del 1962. A parte queste campiture appariscenti, talvolta di formato immenso, che pervadono tutto lo spazio del quadro (spesso Schifano utilizza il supporto è una carta incollata sulla tela), sono le forme a colpire l’attenzione, dagli angoli smussati, in chiaro contrasto con le angolature del quadro.
Sono gli anni che precedono la sua partecipazione alla Biennale di Venezia del 1964 e alla prima mostra dell’anno seguente allo Studio Marconi, di cui diverrà uno dei protagonisti, come dimostra quest’ulteriore tributo postumo. La mostra curata da Alberto Salvadori in collaborazione con l’Archivio Schifano di Roma, sosta alla galleria fino al 24 luglio, dal martedì al sabato, su appuntamento.