Avete mai pensato all’esistenza di una “città dei balocchi”, affascinante eco realistico della suggestione collodiana e dall’anima colorata? Ebbene, adagiato su un versante del Monte di Brianza, s’insinua un borgo isolato, Consonno, che con un pò d’immaginazione ricalca questo luogo fatato foggiato in una dimensione sospesa. Per comprendere il segreto del suo fascino misterioso e romanzesco bisogna tornare all’alba degli anni “60 del Novecento, quando il facoltoso vercellese Grande Ufficiale Conte di Villa dell’Olmo Mario Bagno (1901-1995) cerca di portare una ventata di appetibilità turistica a questa zona, che complice la crisi del settore agricolo, si sta rapidamente spopolando.
Grazie all’acquisizione della località e alla realizzazione di una strada di collegamento con il Comune di Olginate, da cui dipende amministrativamente, il conte dà quindi il là ad una nuova fase di vita della frazione, inserita in una loggia naturale a 700 metri di altitudine, che in pochi anni si trasforma in un centro d’attrazione animato, non solo per chi vi abita, ma anche per chi arriva da fuori. Sorgono così nel raggio di poche centinaia di metri, tra le altre novità di un certo richiamo, una balera, un castello medievale, un albergo di lusso, un lunapark, un trenino panoramico e il “minareto”: un agglomerato di negozi e appartamenti su tre piani, così indicato per l’aspetto che ricorda quello della tipica torre delle moschee. Simboli di una fase entusiastica e di fervente vitalità della località, in cui l’ex borgo accoglie anche ospiti di spicco (tra gli altri i Dik Dik) a intrattenere il pubblico che inizia a riversarsi in questo nuovo riferimento per le serate in Brianza. Quello che nasce, in pieno boom economico, è frutto del disegno in grande del conte, che sulla carta avrebbe dovuto essere ancora più articolato di quello che sorge alla fine, e che conferisce un’aurea quasi magnetica al luogo dalle caratteristiche uniche, tanto da fargli guadagnare l’etichetta di Las Vegas della Brianza.

Per costruire quello che è a tutti gli effetti un nuovo paese, il conte, propetario di un’impresa edile, fa demolire le abitazioni che servono a fare spazio alle attrazioni: del vecchio borgo vengono risparmiate solo la chiesa di San Maurizio con la casa del cappellano, e il cimitero. Una serie di frane sulla strada di collina che lo collega ad Olginate, tra il 1967 e il 1976, porta però il complesso a decadere di nuovo nell’oblio pubblico e ad una fuga abitativa di massa (si parla comunque nell’ordine di poche decine di famiglie), e nonostante i tentativi del conte di risollevarne le sorti negli anni “80, inserendo una RSA nell’ultrastellato Hotel Plaza, nulla cambia nella spinta magica data dalla novità del posto, ormai esaurita, e anche la residenza chiude i battenti nel 2007. Ma questa volta la mazzata sull’immagine del luogo è sensibilmente più forte. L’aspetto oggi apprezzabile percorrendo le pittoresche stradine di collina del meratese per entrare in questo mondo a parte, tra Santa Maria Hoè e Colle Brianza (se si accede da Olginate, l’altro accesso è da Villa Vergano di Galbiate), prima di immergersi in questo contesto avulso e oggi purtroppo desolato, è frutto di un’azione collettiva del 2007, quando un rave party mette il punto definitivo alla “fase attiva” del luogo. Nell’occasione in poche ore spuntano graffiti e scritte variopinte vergate sulle strutture di questo scenario, che oggi ha assunto un aspetto apocalittico.
Negli anni seguenti la location ha acuito se possibile la sua nomea di “città fantasma” e spettrale, favorita da vandali che di tanto in tanto aggiungono segni di un’arte murale clandestina in punti ancora intonsi, inserendo la loro firma ad un museo improvvisato a cielo aperto e work in progress. Il risultato è un museo del graffitismo frutto di tante azioni personali libere, che a prima vista possono dare l’idea di un’unica macrooperazione decorativa comunitaria, ma che in realtà sono la somma di tanti interventi slegati ed estemporanei. Qui non ci sono grandi rappresentanti del settore, ma l’originalità delle creazioni non manca di certo, e cogliendo il pretesto di una passeggiata si può apprezzare uno spettacolo colorato gratuito, integrato con i colori del paesaggio brianzolo e della vallata che si apre sotto il minareto. Mentre l’occhio nelle giornate più limpide s’inoltra facilmente fino ai laghi briantei, e in lontananza, con un pò d’impegno, riesce a localizzare il Monte Rosa, certificando tutta l’eccezionalità di un luogo che fino a tempi non sospetti era soggetto da cartolina.