Soggetti popolari valorizzati da tinte sgargianti, con il marchio collaudato di un simpatico pesciolino giallo. Non servono certo codici di accesso complessi per entrare e capire l’arte di Umberto Voxci (per molti ormai Joe Palla). Artista monzese “libero”, da sempre strenuo sostenitore di un’espressione visiva dal linguaggio lineare, efficace e senza fronzoli stilistici né compromessi con le mode commerciali. Talmente indipendente, che per rimarcare il suo credo culturale, nel 2004 è arrivato a ideare un piccolo personaggio che oggi lo identifica senza fraintendimenti. Quel Joe Palla che in molti avranno imparato ad apprezzare nelle sue briose creazioni, all’insegna della stessa positività che anche Umberto trasuda, se avete la fortuna di conoscerlo. Se però nei primi anni la figura di fantasia si prendeva gran parte delle scene, all’interno di composizioni pittoriche in qualche modo frutto del suo lungo periodo professionale alla casa di animazione Yusaki di Milano come realizzatore di personaggi in plastilina, ora l’animaletto è diventato un vettore in forma adesiva che certifica la paternità di opere che per la semplicità delle linee, sanno arrivare in modo immediato e a tutti indistintamente.
La trasformazione non è stata però altrettanto immediata, e in questo percorso di maturazione ha giocato un ruolo decisivo la graduale e responsabile presa di coscienza in Umberto, della funzione centrale dell’artista nella costruzione della nostra società. “Credo che nella confusione che regna sovrana a più livelli nella fase storica che viviamo, l’artista debba rendersi conto dell’importanza del compito sociale e culturale che gli spetta. In questo senso c’è bisogno di trasmettere concetti chiari. Quelli che do per esempio con l’ultima serie Magister nata durante la pandemia, sono degli input a rivedere pagine di storia che sempre più ormai viene trascurata, utilizzando la propria chiave di lettura. Una chiave che magari non ci obblighi a vedere Himmler solo e semplicemente come lo spietato nazista, ma a scorgerne ad esempio un’intelligenza non comune, al pari di altri ufficiali del Reich. È così che da qualche anno ho iniziato a “fare politica con il colore”. Avrei potuto riciclare le icone consumate della Pop Art, Marilyn o Mao, ma anche qui ho voluto differenziarmi e proporre qualche cosa di nuovo, sulla base di uno stile che chiaramente nuovo non è: credo che nella semplicità del tratto si veda distintamente l’influsso di Liechtenstein. Mentre per quando si potrà tornare ad esporre, ho già pronte due serie: U.F.O. Picture, che sono delle istantanee di landscape italiani, paesaggi e vedute di città, e A Flower Power, dove ho trasferito in forma colorata la mia predilezione per la “medicina alternativa”, quella praticata con le erbe medicinali. Queste daranno vita ad altrettante mostre nei locali civici di Punto Arte a Monza, dove mi promuovo solitamente”. La trasformazione di Umberto (la tentazione di chiamarlo Joe, dobbiamo confessarlo, è fortissima) negli anni è andata di pari passo da una parte con l’esigenza di identificarsi chiaramente, in un panorama che del resto lo richiede a gran voce per non scomparire nella massa di proposte allineate; dall’altro lato è stata imposta dal desiderio di lasciare qualcosa di costruttivo ed educativo al pubblico, in primis alle giovani generazioni.
L’insegnamento d’altronde è una prossima tappa del suo percorso che l’artista non ci nasconde. “L’arte, è inutile negarlo, è diventata ormai un discorso elitario, per pochi addetti che ruotano attorno a questo sistema chiuso. Abbiamo creato troppa distanza tra chi fa arte e i potenziali interessati. Con queste ultime serie, prodotte durante quest’anno di pandemia, che per me è stato una manna a livello di ispirazione produttiva, voglio insegnare quindi a riscoprire un quadro. Una suggestione secondo me difficilissima, in un’era in cui ci passano davanti milioni di immagini alla velocità della luce. È lo stesso esercizio che faccio da qualche anno con i miei lavori di Street Art a Monza, che creo alla luce del sole, in aree a volte anche nevralgiche (penso allo Stregatto che ho ideato all’ex San Gerardo in via Solferino), l’unico modo per avere un ritorno immediato di chi passando di lì s’imbatte nelle mie opere. Alcuni sono volutamente provocatori: è il caso della Madre Teresa in via Bergamo, raffigurata in forma di jedi con la spada in mano, che forse anche prevedibilmente ha suscitato la reazione contraria di qualcuno che l’ha deturpata. Ma è nata dal mio istinto naturale di voler demonizzare le icone classiche usate come stendardi, una tradizione dura a morire. Con qualunque modalità mi esprima, comunque il mio obiettivo è avvicinare l’arte al pubblico: voglio che mi si dica che chiunque, anche un bambino, potrebbe fare un’opera come la mia”.

Anche la tecnica scelta da Umberto per le sue elaborazioni non è un segreto: la base di lavoro sono tavole di legno su cui brillano colori acrilici, usati in decine di toni, dove il giallo Pop-Art ritorna spesso, anche solo nella cornice, che è a tutti gli effetti parte integrante dell’opera e da essa inscindibile. Proprio le cornici pullulano spesso di trame di simboli che spiegano, specificandoli, alcuni contenuti legati alle immagini rappresentate, in una sorta di lezione colorata. Diverse mani di lucidatura sulla superficie della tavola, completano l’operazione artistica con un tocco sopraffino. E siccome Umberto sa leggere anche piuttosto bene le derive pericolose di una società ben poco equilibrata a tutti i livelli, si è già portato avanti, inaugurando da poco una serie che prende le mosse dal transumanesimo che anima la nostra contemporaneità. Una riproposizione, divinamente attualizzata, del mito di Giuditta e Oloferne, conferma una volta di più la sua vocazione di scopritore dei difetti di un futuro sempre più nebuloso.
“Il mio obiettivo è avvicinare l’arte al pubblico: voglio che mi si dica che chiunque, anche un bambino, potrebbe fare un’opera come la mia”
