Spogliare i muri della loro pelle, per raccontare quello che hanno visto e vissuto, è l’esercizio di stile che contraddistingue il corso artistico informale di Claudio Elli. Già da questa premessa si può ben comprendere come non sia esattamente appropriato accomunare tout court il gusto dell’artista caratese a quello di altri illustri predecessori del genere. Lo scostamento ad uno sguardo anche sommario alla sua opera appare infatti chiaro, malgrado i riflessi di firme postsurrealiste quali Emilio Scanavino, Remo Bianco, Rothko e Rauschenberg, dei cui caratteristici combines Elli condivide la tendenza al riuso di “scarti di vita quotidiana”.
Le sue opere si configurano come frammenti di vita ormai trascorsa, rispolverata su tela o spesso su tavola – per reggere il peso delle soluzioni consistenti create – con l’inserimento di lettere o parole di giornale decontestualizzate, in grado potenzialmente di raccontare un passato non precisato. Il risultato visivo è un racconto con un soggetto e una trama indefiniti, che lasciano libera l’interpretazione, con frammenti che stazionano a livelli diversi, in porzioni rese più o meno leggibili a seconda della quantità e dell’intensità di colore versato. La matericità delle lavorazioni, altro punto di contatto con le creazioni di Rauschenberg, trova sostanza in oggetti come garze e pezzi di cartone, strappati e manipolati per essere poi riassemblati sul supporto, chiaro emblema del loro complesso e articolato vissuto.
Per Elli la materia è infatti un’esigenza irrefrenabile sfogata sui suoi lavori, certamente più impulsivi che razionali. Mentre la solidità dei muri viene ricreata in modo assolutamente realistico, dall’impiego addirittura in qualche caso del bitume e del cemento. L’espediente che abbina muri e parole dà vita quindi ad un’originale metafora che affida a questi elementi il ruolo di testimoni privilegiati di vicende umane e di narratori silenziosi. E la vaghezza con cui sono riportate queste storie è certificata da un codice prettamente astratto, affiancato talvolta da presenze umane solamente abbozzate.
Afflati di vita si perdono così nell’intemperie di tonalità che raccontano con un registro lirico storie indeterminate attraverso tinte altrettanto incerte, per lo più grigi, marroni, neri e bianchi, con sporadiche incursioni dosate e mai eccessive di rosso, giallo e blu, per equilibrare il peso cromatico delle lavorazioni. Una narrazione tanto silenziosa quanto avvincente e avvolgente ogni volta per l’esito inatteso che può offrire alla lettura discrezionale di ognuno.
