Farsi spazio con autorevolezza nel limbo della scultura esige una versatilità non comune. Vuol dire ad esempio saper maneggiare con uno spirito dinamico un ventaglio di materiali che svariano dalla tradizione ai medium più “particolari”. Ed è forse questo, quasi per assurdo, il segreto della riconoscibilità di quegli artisti che non costruiscono la loro immagine attorno ad un motivo reiterato, martellante, se si vuole anche più conveniente da un punto di vista meramente commerciale. Quando infatti il piacere del creare supera l’ambizione economica, ecco realizzarsi un’intrigante ed originale ricetta estetica, una delle vie possibili per affermarsi nell’Olimpo delle tre dimensioni. Ed è indubbiamente un modo personale di modellare la materia, quello che da fine secolo caratterizza l’approccio visuale del lissonese Ambro Moioli (1952).
La sua è una modalità mai banale di sviluppare l’evoluzione delle linee nello spazio, che cattura l’attenzione dell’osservatore indistintamente che ci si trovi dinanzi a soluzioni estetiche contenute o a modelli imponenti. Un modo di interagire con la materia passato dalla lezione di Ermes Meloni, presso la Famiglia Artistica Lissonese, di Warner e Brunivo Buttarelli, e dei maestri carraresi per le tecniche e i segreti del marmo. Alla fine però le opere che nascono sono tutte sue, sono cioè plasmate ad immagine e somiglianza della sua sete di perfezione. Difficilmente l’eleganza delle lavorazioni passa in secondo piano all’occhio più attento. Mentre la materia, nei suoi vari stadi, piena, finemente modellata o ruvida, lascia sempre al fruitore il compito, o meglio il piacere di ricostruire l’immagine, dall’altra parte nella scelta dei soggetti si scorge una conferma in più dell’anima raffinata di Ambro: nel suo laboratorio di Lissone, incubatore di idee senza sosta, teste di cavalli, corpi femminili danzanti, uccelli libranti, tori scalpitanti ripresi in pose incredibilmente realistiche, ci raccontano di una rara sensibilità verso il mondo classico, propria di questo versatile “scultore del vuoto”, definizione decisamente calzante affibbiatagli da Vittorio Sgarbi.
Nel suo plasmare fioriscono quindi tracce di tradizione, di mitologia e di leggenda, visto che la sua Araba Fenice (2011), una sorta di Ibis di oltre 7 metri di altezza per 20 quintali di acciaio ossidato, è protagonista di una delle più antiche narrazioni della storia della cultura di tutti i tempi. Ma nonostante il peso del metallo dalla tipica colorazione brunito che l’ossidazione fa apparire usurato dal tempo – una delle sottili finezze espressive delle figure di Ambro – questo volatile ci appare sì possente, ma tutt’altro che statico, immortalato idealmente mentre si avvita su stesso a tracciare cerchi concentrici, prima di sparire da dove è venuto. Il modello dell’Araba esalta in modo esemplare fra l’altro l’elemento cardine della scultura dell’artista – retaggio del suo humus professionale di grafico e cartellonista – la linea e le sue infinite modulazioni osservabili in senso dinamico che spaziale. Altrettanto interessante da indagare si presenta l’evoluzione nella ricerca sui materiali che l’artista ama condurre. Un perfezionamento costante della lavorazione di ogni materia prima, partito dalla sperimentazione del gesso negli anni “90, che Ambro è arrivato a portare ad un effetto lucido di estrema gradevolezza esteriore, apprezzabile anche al tatto, e visibile con ancora più evidenza nel contrasto ruvido con la pietra, nella lampada Anthurium (1998).
Altro materiale privilegiato, il bronzo si presta in modo esemplare a rendere una monumentalità delle pose dinamiche delle diverse varianti dei tori sfornate nel tempo, mai esagerata, ma sempre composta. Lo splendore di Taurus (2015), il più esposto della serie, è stato onorato con la collocazione in location prestigiose, da Palazzo Lombardia alla Villa Borromeo di Arcore, fino alla Palazzina di Caccia sabauda di Stupinigi. E ai possenti tori si contrappone la leggerezza delle allegorie scolpite nelle più svariate consistenze, dal marmo al bronzo, fino a combinazioni che intrecciano in modo sempre calibrato acciaio, resina e gesso. Come le antiche sculture classiche, queste Veneri attuali, in una chiave moderna, ci ricordano in modo simbolico – con cui l’artista ama molto rapportarsi – le virtù corporee femminili (sinuosità, sensualità, armonia, leggiadria), molte delle quali presentate come veri e propri sviluppi di opere “vecchie”, rispolverate in varianti estrose a distanza di anni, ricavate da materie rinnovate.

Ma l’apertura e il dinamismo di Ambro gli hanno suggerito di costruirsi un percorso solido anche nell’ambito delle opere da parete: le sue sculture-quadro sono altorilievi tridimensionali, validi complementi d’arredo, che dimostrano come anche il ferro, declinato nell’acciaio spesso ossidato o traforato, custodisca una sua aurea lirica sorprendente, che dirompe in una sorta di nuova Pop Art del XXI secolo nei ritratti di Marilyn, di Sgarbi o del Conte di Cavour. Pervase dai toni chiari quasi come fossero illuminate da luce artificiale, con il supporto dell’immaginazione, richiesto un pò da tutta la straordinaria produzione di Ambro, richiamano alla mente le insegne pubblicitarie.
E quel senso di antiquato ma assolutamente gradevole e raffinato dato dall’acciaio ossidato, si può ammirare in tutto il suo splendore a cielo aperto e nella sua poderosa sacralità, nel contesto di Lissone – dove ha esposto varie volte al Museo d’Arte Contemporanea, a Palazzo Terragni e Palazzo Gattoni – nelle croci che si ergono di fronte alla chiesa di San Giuseppe Artigiano e alla chiesa prepositurale cittadina. Una delicatezza di linee e di forme che lo scultore non nasconde – è il suo sogno nel cassetto – voler portare a diretto contatto con l’irriverenza di un’altra filosofia di arte sempre più di tendenza in questo scorcio di secolo, ben rappresentata da L.O.V.E. di Maurizio Cattelan. Imporre la sua visione espressiva a Piazza Affari sarebbe una tappa importante, forse il coronamento del suo eccezionale percorso, animato da uno spirito perfezionista sempre alla ricerca di nuove e avvincenti sfide. Emozioni per lui raggiungibili, naturalmente, plasmando la materia.