Mauro Calvi, l’arte gestuale come liberazione dalle tempeste emozionali🎙️

Decifrando il codice stilistico di Mauro Calvi, non si fatica a riconoscere nel gesto il valore costante che da sempre è cifra della sua proposta elaborativa dinamica, oggi approdata allo stadio maturo dell’informale astratto, e scaturita da un’evidente onda emozionale. La sua impronta artistica ci appare come un’azione impulsiva filtrata da un linguaggio pittorico che è passato per gran parte del suo percorso attraverso il disegno della figura umana, in cui l’artista, nativo di Cremona e residente a Meda, si dilettava già da giovane e da autodidatta, sostenendo la crescita con i corsi della Scuola d’Arte di Cabiate, dove oggi ha il suo studio, e quelli della FAL (Famiglia Artistica Lissonese), sotto l’ala sicura di Gino ed Ermes Meloni. Una figura che raramente s’impone nelle sue tele di grande formato, immersa in sfondi cromaticamente omogenei. Quasi mai infatti è mostrata in una forma definita e canonica, che rimane invece incerta, dando così l’idea di un non finito voluto, ma mai incoerente con la visione poetica dell’autore, sempre pronto a tornare sui propri passi per riaprire strade stilistiche in precedenza interrotte.

La tensione e l’energia emotiva che è in grado quindi di liberare il suo sentimento artistico, in preda ad un perenne fermento creativo mai domo, si manifesta in spatolate, getti (dripping) e colate di colore, impasti cromatici, resine, scritte di ritagli di giornale, che creano composizioni dotate di grande dinamicità e instillano una forte carica all’insieme. La disorganicità finale che deriva è dunque solo apparente, frutto di un’impressione furtiva spazzata via da un’armonia di fondo studiata. E se oggi la sua dimensione dominante è l’astratto, nonostante le frequenti “comparse” di linee umane, per lungo tempo la sua “stella polare” è stata proprio il figurativo. A rivelarcelo sono i bozzetti disegnati a grafite che spuntano da ogni angolo del suo studio, che riproducono linee del corpo, basati sui modelli dei grandi maestri del passato. D’altra parte il confronto con l’altro per lui rappresenta una via necessaria per sperimentare nuovi percorsi ed essere continuamente stimolato.

“La mia ricerca passa da un costante impegno dedicato alla conoscenza di questo mondo che cerco di non limitare mai al mio orticello e che è linfa vitale per la mia ispirazione – racconta Mauro – Questo significa per esempio trovare sinergie con esponenti del territorio per sviluppare progetti che siano di reciproco interesse e finalizzati ad una crescita comune. Ad esempio con Aurelio Porro, architetto e artista visivo di Cantù che predilige progetti di contaminazioni espressive, abbiamo trovato modo di lavorare a diverse mostre (come Dissolvimenti all’ex chiesa di San Pietro in Atrio a Como, nel 2013 ndr), in cui lui riprende i miei lavori focalizzandosi su una porzione e offrendone una nuova lettura fotografica in ulteriore movimento, assolutamente di rilievo estetico di nota. Ma penso anche a valide realtà completamente fuori da quella che è la mia attività ordinaria, come la Biennale primaverile di Art in Nature, Gallery Sweet Gallery di Mariano Comense, a cui ho già partecipato due volte con installazioni di Land Art realizzate a più mani, in un panorama della Brianza tra l’altro di rara bellezza paesaggistica nella realtà di Mariano Comense. Ancora, delle mie guide più fedeli, come Anselm Kiefer, cerco di non perdermi le occasioni più interessanti per contemplarne la grandezza, come l’evento irripetibile al White Cube di Londra nel 2019 in cui c’è un condensato di tutta la sua sconfinata arte tra storia e mitologia”.

Il percorso espressivo dell’artista non si pone mai come un approdo sicuro né una vera e propria evoluzione dello stile, ma piuttosto come un cammino in cui di volta in volta viene assecondata una componente, più astratta o più figurativa, in base al gusto del momento e alla fase esistenziale da lui attraversata. Quello che sembra essere un tratto trasversale costante è l’emotività del comporre. “C’è stato un momento della mia produzione in cui ho dovuto affrontare una perdita familiare importante. È stato in quel frangente che ho attuato il passaggio da un modo puramente astratto di dipingere alla figurazione, allora ancora incompleta, fatta di timide evocazioni umane, titubante, che nel tempo si sarebbe poi strutturata. In quella intemperie di emozioni a volte gettavo il colore sulla tela alla “vecchia maniera” (si veda Sottosopra, 2009), in altre si intravedeva già un’idea embrionale di figurazione e di soggetti con una parvenza umana (come in Quel che rimane, 2010). Mentre oggi devo ancora scegliere la direzione da prendere nei prossimi anni. Sto valutando diverse vie che contemplano la possibilità di mescolare grandi campiture di colore monocromo, insieme ai disegni istintivi scaturiti dalla mente creativa dei bambini, quelli che incontro nelle scuole (che ad un impulsivo come me non possono che piacere), e quei bozzetti di forme umane che disegno da quando avevo 20 anni. Non so alla fine che strada prenderò, ma come ormai ho imparato a conoscermi, saranno le contingenze del momento a decidere”.

Mauro Calvi, Sottosopra (2009)

Nel gioco di incessanti rimandi al passato, un discorso a parte lo merita la deriva trasparente estemporanea che l’artista ha aperto e chiuso in pochi anni, dimostrando un’abile padronanza nell’uso di pigmenti puri uniti all’acqua e liberati con sapienza sulla superficie della tela per esaltare la magia di questo elemento primordiale. Qui l’autore ha creato le diverse gradazioni dell’acqua in scala, dal bianco al blu passando dal verde, dando vita ad una breve serie poetica che è sfociata anche in un’iniziativa editoriale che ha preso corpo nel volumetto La memoria dell’acqua del 2017. Un lavoro realizzato a quattro mani, con il sottofondo di immagini di Mauro, e i testi poetici di Cristina Balzaretti, che nella visione dell’artista medese ha trovato il completamento ideale della sua riflessione sul tema dell’acqua, visto nel suo ruolo di metafora e simbolo della congiunzione tra uomo e ambiente. È la classica eccezione, in un modo di operare davvero singolare, fatto di continue riprese nostalgiche e di parentesi sempre aperte.

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