La riflessione sfida ‘l’arte veloce’, il cammino di luce di Raffaele Cioffi 🎙️

Immaginiamo di aprire una porta affacciata su un versante colpito da una luce frastagliata che non ci suona esattamente familiare perchè innaturale. Su questo piano d’impalpabile evanescenza si colloca in modo inequivocabile l’origine della pittura aniconica di Raffaele Cioffi (1971). Moderno studioso di questo elemento chimico vitale, che già gli impressionisti, affascinati dalle perturbazioni ottiche provocate da quest’entità primordiale, avevano avvicinato, sottolineandone l’importanza dell’incidenza sulla percezione della realtà nei loro eterni paesaggi naturali. Qui però il tipo di luce evocata sembra indicarci chiaramente una fonte ultraterrena, artificiale. I suoi riferimenti più prossimi ci portano in primis ai massimi esponenti del Color Field Painting, con la scuola nordamericana di Barnett Newman, Morris Louis e Mark Rothko in prima linea, precorritrice di un lungo viaggio concettuale dedicato al tema luminoso che attraversa tutta la seconda metà del Novecento. Un argomento in Italia “acceso” dall’astrattismo di Claudio Olivieri e Mario Raciti, eredi dell’informale italiano di metà secolo. Così si può inquadrare meglio il percorso pittorico di Raffaele, nato a Desio e da alcuni anni “adottato” da Lissone, per via dello studio d’artista ricavato da una vecchia casa-cascina, da lui ristrutturata con gusto moderno nella città brianzola del design.

“La mia pittura nasce con l’intento di essere meditata in silenzio, lentamente. Esige uno spazio di studio per sé per essere assaporata. In questo tipo di visione sono ben consapevole di andare in senso contrario all’idea di fruizione d’arte veloce che va per la maggiore al giorno d’oggi. La volontà è quella di portare con la riflessione l’osservatore a contatto con una terza dimensione che nel tempo ho sviluppato secondo modalità ben studiate, attraverso un’evoluzione dello stile che passa per cicli pittorici. In particolare attingo di volta in volta elementi d’ispirazione da modelli diversi per creare questo effetto straniante sul supporto, che molti profili nel Novecento hanno reso tramite tantissime vie formali, in qualche caso addirittura senza il ricorso a strade illusorie, se pensiamo ai tagli sulla tela di Fontana“.

Su un sentiero visuale come detto già molto battuto, sia in Italia che all’estero, l’opera di Raffaele s’inserisce in questo filone a pieno titolo, con una formula a primo impatto tutt’altro che canonica e già vista. Un linguaggio inedito, proposto senza i clamori e le pretese di una certa arte appariscente del nostro tempo, al passo anche con le indicazioni offerte dal contesto del XXI secolo. Lungi da lui quindi identificare questi bagliori solo e soltanto come entità di matrice puramente spirituale, non per questo ha rinunciato a soffermarsi con un ciclo più spiccatamente religioso, dedicato al valore sacro della sua immagine, oltre che, agli albori dell’attività, con una tela dedicata alla Trinità. Negli anni “90, reduce dalla formazione di Brera, deve ancora mettere ordine alla sua ricerca, ma già s’intravede senza difficoltà la netta predilezione per il campo astratto rispetto al terreno figurato. Le grandi tele monocrome d’intense tonalità blu, gialle e rosse della metà del decennio ci riportano senza grossi sforzi a nomi del peso specifico di David Simpson, che hanno fatto del fattore cromatico “limitato” uno stile personale universalmente riconosciuto.

Il carattere rischiaratore qui deve ancora uscir fuori in tutta la sua dirompenza. Solo di tanto in tanto affiora qualche stringa di luce isolata. E allora l’effusione luminosa più vivace non tarda ad irrompere con forza sorprendente a fine decade nel ciclo dei Video, dove la componente luminosa si traduce in campiture vagamente quadrate che svelano il precedente in Rothko. Nei primi anni Duemila la pittura di Raffaele si attesta su un modello che scompone sfondi liquidi in frange di colore materico e in bagliori, spesso sottili, sviluppati verticalmente, dove la tela pare assumere gradualmente le sembianze di una scena teatrale, o meglio, di un sipario, arricchito da inserti chiari e colate di acrilico. Un modo di operare che lo accompagna per un’altra decade. “Una tappa fondamentale di questa fase per me è stato l’approfondimento dell’arte stratificata di Gerard Richter, che non ho indugiato anche ad andare a trovare direttamente nella sua originalissima casa-studio tedesca di Colonia, secondo me esteticamente eccezionale per l’idea dell’infinito sviluppo orizzontale proposto, nonostante sia rimasto parzialmente deluso dall’assenza del maestro in occasione della mia visita senza preavviso. Bene, inserendo questi inserti, alla maniera di Fontana ho di fatto apposto un indizio temporale alle mie lavorazioni che in precedenza mancavano di questo riferimento. A differenza di Fontana, per rendere questa coordinata temporale però mi sono mantenuto sempre nel perimetro della pittura”.

Le sue scomposizioni della materia eterea trovano sedi espositive complementari al suo stile classico, nel senso di raffinato in cornici che agevolano lo stato contemplativo di un’opera che ci invita ad essere attraversata, come le sfarzose Villa Pisani di Stra (Venezia), o Villa Bagatti Valsecchi di Varedo. Frontiera inevitabile per il codice di Raffaele, quello sacro e della Salvezza diventa tema e passaggio in qualche misura obbligato per un’ulteriore maturità nell’affrontare argomenti affini al suo soggetto prediletto. L’autore affronta questo nuovo capitolo delicato e sperimentale alla sua maniera, ossia evocando una luce a forma di Croce, dove non appare la figura di Gesù crocifisso, che viene lasciato alla sensibilità religiosa di ognuno immaginare o meno, e dove l’astrazione conduce ad una porta sul figurativo, che sta a noi decidere se aprire. La scelta dei colori fuori dall’ordinario, violetti e verdi innaturali, è altamente indicativa dell’esperienza mistica che la visione della Croce comporta sempre e comunque, da qualsiasi punto di vista.

L’autorevole indagine della luce gli indica di portare nel 2018 delle opere appositamente pensate alla Biennale della Luce di Francoforte Luminale, dove al centro delle tele compaiono delle fasce colorate come arcobaleni verticali: sono come tubi al neon color ciano, magenta e giallo, in colorazioni tenui, che nascondono strati di gradazioni più cupe. Documenti in due dimensioni in cui si avvertono le tracce del minimalismo degli scultori della luce d’oltreoceano, Flavin e Turrell. E dal 2018 si profila un nuovo corso in cui l’artista rispolvera una sequela di lavori che richiamano i monitor di fine anni “90, con un effetto però vaporizzato, che dà il titolo Vapors of Light al nucleo di opere che poco più tardi si evolvono nelle Soglie. È l’ultimo atto della linea evolutiva di Raffaele, esposto al MAC di Lissone nella mostra in corso al museo cittadino, fino al 23 maggio, curata da Alberto Barranco di Valdivieso con molte tele di grande formato. Rispetto agli esordi si nota come la luce si vaporizzi in tanti microelementi pigmentati dal colore fibrillante, attraverso un movimento pivotante del pennello. È l’ultima conferma in ordine di tempo di una ricerca portata avanti nel solco della tradizione aniconica, ma che da quell’impostazione notoriamente algida prende una deriva autonoma e più dolce nell’invito a varcare quelle soglie fissate idealmente oltre la tela. Soglie che, forse, non sono poi così distanti come pensiamo.

Un sostegno all’arte del futuro: il Progetto Pittura

Per rimarcare il suo ruolo di artista senza l’esigenza di compromessi, ha ideato un progetto lodevole dall’impronta personale e aperta a chi cerca di inserirsi in un sistema sempre più più chiuso e legato al circuito delle gallerie: è il Progetto Pittura, nato all’interno del suo spazio di lavoro di via Bellini. Obiettivo, dare visibilità ad artisti emergenti con mostre fugaci. “Ho pensato a questo spazio come ad una piccola vetrina promozionale che esula dall’idea convenzionale di galleria, percui occasionalmente tolgo le mie tele dalle pareti, cercando di valorizzare con il bianco di questo ambiente, durante mostre molto brevi, artisti anche lontani dalla mia concezione d’arte. Solitamente promuovo un autore alla volta (ho cominciato con Federico Lissoni, ma ho dato fiducia anche a due coppie di autori russi, Alexander Vinogradov, Maria Pogorzhelskaya, Taisia Korotkova e Alexander Pogorzhelsky)”. La luce del suo studio si sposa idealmente con il suo fare pittorico, ma è inclusiva verso chi alle prime armi, vuole lasciare un segno in questo settore.

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