Non c’è limite alla creatività che un contesto come l’ex periferia milanese può offrire. Potrebbe essere lo “slogan virtuale” che accompagna le originali operazioni artistiche che l’architetto e designer monzese Felice Terrabuio, da una manciata di anni mette a servizio della comunità, non solo monzese. Interventi passeggeri, come i ritmi incalzanti della contemporaneità impongono. Fra gli esempi più futuristici di questa filosofia di idee culturalmente eversive che lo spirito funambolico dell’arte a cielo aperto ha messo a disposizione della piazza monzese, rientra sicuramente l’arte pubblicitaria diffusa tramite l’effervescente associazione Streetartpiu, che in pochi anni ha contaminato con tante soluzioni visuali dei profili ogni volta selezionati, diverse vie nevralgiche della città di Teodolinda, da via Pennati, area ex Cinema Capitol, al muro di cinta dell’ex Ospedale San Gerardo. Ma una menzione speciale a parte la merita senz’altro il MiMuMo.
Riduzione di Micro Museo Monza, apre nel 2014 in via Lambro alle spalle dell’intramontabile Duomo e la sua piazza, da uno sguardo molto attento di Terrabuio alle esperienze dei musei di ultimissima generazione, che in spazi ristretti si sono proposti in tempi recenti come vetrine temporanee per artisti in cerca di ribalte alternative a musei e gallerie. “L’idea è venuta all’architetto Luca Acquati, proprietario del locale al piano terra in cui è allestito il museo (che fa parte del più antico edificio monzese probabilmente esistente, la Casa della Luna Rossa, che sfoggia il suo simbolo incastonato in una trave del complesso ndr) – spiega Terrabuio – Nel 2013 a Broadway ha visitato il Mmuseumm, un museo ricavato nel montacarichi di una vecchia fabbrica dismessa, e lì ha avuto l’ispirazione di esportare il modello a Monza. Naturalmente vista l’impostazione, è sempre aperto, 24 ore su 24″. Negli ultimi anni nel mondo questi microcontenitori museali hanno iniziato a prendere sempre più piede: Milano dal canto suo può annoverare in zona Darsena un modello simile piuttosto giovane come l’Edicola Radetzky, mini struttura dall’aria risorgimentale con un identificativo tetto a pagoda, che mette in piedi iniziative culturali in una realtà di proprietà pubblica (il Comune di Milano) a gestione privata. In Inghilterra sono le cabine telefoniche ad essersi elegantemente adattate a mini-gallerie, in forza di una campagna del 2009 della compagnia telefonica British Telecomunications, volta a preservare elementi della tradizione britannica che ormai erano simboli senza funzione. Mentre a Tel Aviv è la famosa strada della Street Art ad aver accolto il proposito di Murielle Cohen, gallerista canadese, di oscurare una volta al mese la vetrina della sua iconica Tiny Tiny Gallery, per svelare poi l’opera nascosta come un dono alla comunità, togliendo la carta che la nasconde. Come un sipario che si alza.

Ma qual è il senso di un progetto di questo tipo? “L’intento è offrire una vetrina temporanea ad artisti che non vendono le proprie opere in esposizione, ma le mostrano e si fanno conoscere, e magari apprezzare. Dal 2014 si sono esibiti centinaia di artisti, inizialmente per una settimana, poi per due, e oggi la formula prevede tre settimane di esposizione h24. Dal punto di vista del gusto non ci siamo fatti mancare niente, a partire dalla primissima esposizione di Roberto Spadea nel 2014, che ha portato i suoi distintivi jeans sociali in vista strada. Lo spazio si presta tranquillamente alle declinazioni artistiche più convenzionali di pittura e scultura, come alla video-art. Fino a simil-performance sul modello di Maria Luisa Conserva, che ha addirittura dormito una notte nella vetrina, dopo averla tappezzata di omini primitivi in uniposca “alla Keith Haring”. Ma il MiMuMo ha saputo trasformarsi anche nel teatro della provocazione con il Crocifisso che vede protagonista una donna nei panni di Cristo, da un’idea di Angiola Tremonti. Tra le operazioni più geniali ho trovato molto interessante anche l’idea di Peter Hide con la sua cassaforte aperta e i dollari sparsi per terra. E ricordo con piacere che qui hanno trovato ospitalità profili del calibro del designer Alessandro Mendini, l’archistar Mario Bellini, ed Elio Fiorucci con le sue memorabili Figurine Panini, pochi mesi prima di mancare”.
“L’intento è offrire una vetrina temporanea ad artisti che non vendono le proprie opere in esposizione, ma le mostrano e si fanno conoscere, e magari apprezzare”.
Incurante del peso della storia e della mentalità tradizionale di solide “isole della cultura” come il Museo del Tesoro del Duomo, che lo guarda dalla parte opposta del vicolo storico, senza timore reverenziale il MiMuMo appare un piccolo gioiello futuribile perchè non pensato come un polo di ritrovo, quanto come un punto di passaggio. È una cabina di idee trasparenti pronte a rinnovarsi ciclicamente, generando nuovi sguardi a catena. Una scommessa e un territorio di sfida per gli artisti. Il tutto in poco più di due metri quadrati. Ma come esporre nella “giostra” culturale che dura 365 giorni l’anno? “Sui nostri profili social si trovano i contatti per presentare le candidature. Non esistono preferenze, abbiamo valutato e accolto artisti già affermati ed emergenti, giovani e meno giovani. Linguaggi conosciuti e sconosciuti sono i benvenuti. Posso dire con soddisfazione che le richieste non mancano, visto che per un anno abbiamo la programmazione già fatta”. Insomma, se le operazioni di arte pubblicitaria di Terrabuio con Streetartpiu sono definibili come urban art panoramica, il MiMuMo può aspirare con pieno diritto a dire la sua nella musealistica del futuro. Tra due passi e un caffè in zona Arengario, non stona neanche una puntata al nuovo “temporary” da guinness della creatività monzese.
