Iniziare a respirare l’atmosfera della mostra “rosa” di Carla Maria Maggi. L’artista ritrovata alla Villa Borromeo d’Adda di Arcore, parlando con chi l’ha resa materialmente possibile, e familiarizzando con la protagonista dell’evento organizzato dall’associazione Heart di Vimercate con il comune di Arcore.
È quello che abbiamo fatto intervistando la curatrice della rassegna, Simona Bartolena, colei che potremmo definire la “rivelatrice” del talento sommerso di questa figlia della buona società milanese. Autrice di un libro commissionatole nel 2006 dal figlio della Maggi, che ha messo in circolo le potenzialità celate della pittrice, la Bartolena ha avuto il merito di aver restituito una dimensione più di rilievo ad una figura che avrebbe probabilmente meritato di fare più strada nel campo, e su cui la storica dell’arte ha già avuto modo di lavorare in un altro allestimento eccellente: nel 2008 al Palazzo Reale di Milano.
In quel caso però i ritratti della Maggi erano raffrontati ad altre opere di autori coevi. Ad Arcore la scena è invece tutta per lei, che, sebbene vincolata alle convenzioni borghesi che la volevano donna “di casa”, ha saputo ritagliarsi un seppur piccolo spazio di autonomia stilistica e compositiva, comunque sotto l’ala protettiva del maestro Giuseppe Palanti, collaboratore della Scala.
La mostra si sarebbe dovuta tenere dall’8 marzo al 3 maggio, ma subirà un naturale slittamento delle date di apertura e chiusura.
Se si volesse individuare l’opera o le due opere che meglio riassumono la limitata produzione della Maggi, quale sarebbe quella ideale secondo te? E perchè?
Beh, un’opera è certamente La sigaretta, il capolavoro della pittrice. C’è tutto il suo mondo dentro a quel lavoro. Non sappiamo chi sia la donna ritratta, ma incarna quell’ideale di bellezza elegante, emancipata, consapevole che ben rappresenta il modello di femminilità moderna negli anni Trenta. L’opera è straordinariamente risolta anche a livello tecnico ed era stata molto ammirata anche ai tempi, raccogliendo le lodi della critica e del pubblico dell’epoca.
La seconda opera credo sia La prova: una modella nuda colta nell’atto di provarsi un tutù da ballerina. E’ un’opera fondamentale perché racconta il lato più libero e fuori dagli schemi di Carla Maria Maggi che, contro le imperanti regole sociali che trovavano sconveniente che una donna dipingesse dei nudi (e ancor di più che li copiasse dal vero), ritraeva le modelle nude nello studio del maestro Giuseppe Palanti. E’ straordinario il modo con cui ritrae i nudi femminili: disinibito e complice, senza quel voyeurismo e senza quella malizia che invece si colgono spesso nei nudi dipinti da Palanti e dagli altri colleghi uomini che lavoravano nel medesimo ambiente. Le modelle sono in posa… ma lei cerca di rendere l’intimità e la naturalezza di un momento reale, quotidiano.
Come è nata l’idea di una mostra personale dedicata alla Maggi? Cosa è cambiato in questo arco di tempo rispetto alla mostra a Palazzo Reale di Milano del 2008? E quali le differenze con quella mostra?
L’idea è nata perché da tempo desideravo tornare sull’opera di questa pittrice. Ha una storia interessantissima e mi piaceva l’idea di raccontarla di nuovo. Nel 2006 il figlio dell’artista, Vittorio Mosca, mi chiese di scrivere il primo libro dedicato a sua madre. Un libro che è stato pubblicato da Skira e che contiene tutti i dipinti che ora vedremo in mostra, un lungo mio testo sull’artista e una serie di contributi altri firmati da importanti storici dell’arte e giornalisti italiani e stranieri. Poi è nata la mostra di Palazzo Reale, curata da Elena Pontiggia, che però prendeva in esame soprattutto i ritratti e li metteva in dialogo con altri ritratti di altri artisti dell’epoca della pittrice. Io in quell’occasione scrissi proprio un saggio sui nudi della Maggi che, a mio avviso, costituiscono un elemento fondamentale della sua ricerca.
Nel frattempo Vittorio è mancato, ma ho continuato a dialogare con la famiglia dell’artista che, per fortuna, è composta da persone molto colte e interessate all’arte. Così, quando il Comune di Arcore ha manifestato interesse davanti a un’opera della pittrice (la sigaretta) esposta alla mia mostra Donne, nel giugno del 2018, ho proposto loro di approfondire il discorso e fare una mostra solo dedicata a lei. Hanno accettato ed è nata questa mostra. Fino a oggi è la mostra più completa in termini di lavori esposti. Più di 50, tra dipinti e disegni. C’è anche un inedito.
Come è nato invece il processo di riscoperta dell’artista a cui hai contribuito in maniera importante nei primi anni Duemila?
Come dicevo, il figlio dell’artista era un uomo straordinario. Appassionato d’arte, ha colto subito il potenziale dei dipinti di sua mamma, quando li ha scoperti (per caso!). Si è dato subito un gran da fare per avere pareri autorevoli sulla sua pittura. Quando mi contattò aveva già raccolto testi di storici dell’arte molto in vista, da Sgarbi alla Bossaglia, all’americana Susan Fisher Stirling, che aveva portato una mostra della pittrice al National Museum of Women in the Arts di Washington e aveva tenuto poi La sigaretta in esposizione al museo con un prestito a lungo termine. Mi appassionai subito al tema. Sono una studiosa dell’arte delle donne, ho scritto anche vari libri sull’argomento. Carla Maria Maggi è stata per me una splendida scoperta, perché la sua storia ha anche un valore simbolico importante. E’ il simbolo di molte altre artiste donne che hanno dovuto fare per le medesime ragioni “sociali” la sua stessa scelta.
C’è un’altra figura simile o paragonabile secondo te nella storia dell’arte a quella di Carla Maria Maggi per via del talento represso?
Non una, purtroppo, Tantissime. Io non credo nello specifico femminile nell’arte: concordo con chi, come Sonia Delaunay, afferma che l’arte non ha sesso né lo deve avere. Non amo le mostre fatte da sole artiste donne. Oggi la trovo una gabbia da cui è meglio uscire…! Ma è innegabile che storicamente le donne sono state ostacolate nel loro percorso artistico. Non è una contrapposizione tra uomini e donne. Era la società tutta, comprese le donne, a produrre pregiudizi e regole sociali che rendevano impossibile a una donna una normale carriera nelle arti (e non solo nelle arti visive!). Sono anni che studio questa triste storia!
La fortuna di Carla Maria Maggi è stata di avere un figlio con la sensibilità, le capacità e i mezzi per portare all’attenzione del pubblico l’opera della madre. Ma quante Carla Maria Maggi destinate a non essere mai riscoperte esistono nella storia dell’arte? Ho saputo recentemente che anche Palanti, il maestro di Carla Maria Maggi, ebbe una figlia pittrice. Anche lei smise quando la condizione di donna sposata glielo impose.
Non occorre, quindi, risalire ad artiste più antiche (come Marie Benoist, che all’inizio dell’Ottocento esponeva con grande successo al Salon di Parigi e dovette smettere di dipingere su volontà del marito entrato in politica): fino a tempi recentissimi la condizione di donna artista professionista era considerata del tutto inappropriata per una donna della buona società. La scelta non era affatto semplice: spesso mancava il coraggio, prevaleva il “buonsenso” e le giovani artiste finivano con il rinunciare alla propria carriera. Non è un caso che si dica che molti dei quadri anonimi presenti nei musei e nelle collezioni di tutto il mondo siano realizzati da artiste donne, poi dimenticate.