Genesis Space, l’eredità d’oro di Nanda Vigo per il San Fedele

È ricostruita al Museo San Fedele, nell’immersivo e intimo Genesis Space ricavato nella cripta della cinquecentesca chiesa milanese, una storia d’arte e amicizia che unisce nei primi anni “60 del Novecento alcuni vivaci punti di interscambio culturale della Milano di zona Brera. A mettere insieme le pagine del racconto che va oltre i legami professionali, è l’incredibile lascito di Nanda Vigo (1936-2020), designer, architetto e influente figura di raccordo anche con i venti culturali imperanti nell’Europa del tempo, tutti legati da un’ideale di rottura rispetto all’arte fino a quel momento dominante, a detta loro superata.

Un profilo che per il carisma emanato, grazie a doni e concessioni dei numerosi artisti con cui strinse sodalizi o entrò in contatto, radunò a sé un numero impensabile di opere tra tele, sculture e oggetti di piccolo formato. Un nucleo di 60 opere delle 108 totali di valore notevole dell’ex collezione privata della Vigo, scomparsa a maggio 2020 (quasi tutte dei primi anni del decennio “60) sono esposte dallo scorso 6 ottobre in tre ambienti collegati, donate dalla storica compagna di Piero Manzoni alla Fondazione San Fedele. Composizioni che rimettono insieme i fili di una vicenda che si sviluppa in larga misura fra il frizzante Caffè Jamaica, la casa di Lucio Fontana in Corso Monforte e il museo. Il primo era – già da inizio secolo – punto di ritrovo per disquisizioni e progetti culturali ambiziosi, come l’animata casa di Fontana, che nel 1961 squarciando per la prima volta la tela, l’Attesa esposta nel neo allestito ambiente, con un atto clamoroso e quasi liberatorio apre una nuova stagione culturale: quella concettuale, fatta di sperimentazioni sulle ancora inesplorate potenzialità della tela, ma anche sulle contaminazioni dell’arte con la fisica, la cinetica, la meccanica, l’elettrotecnica e il magnetismo. Campi a cui guardano in quegli anni con convinto interesse gli artisti del Gruppo Zero: da Otto Piene, che nutre una fiducia praticamente inedita nell’apporto della luce all’opera, a Heinz Mack, attento alle illusioni di movimento create dall’ambiente circostante, e Gunter Uecker, “tormentatore” delle superfici attraverso un sapiente uso dei chiodi.

L’allestimento in nero della Sala 2, ideato nel 2018 per il San Fedele in collaborazione con Nanda Vigo, vuole allora essere in parte proprio un omaggio a queste arie ribelli internazionali, riflesso delle coeve provocazioni nostrane di Fontana e Manzoni. In questa zona vi si ritrovano anche nomi italiani, Dadamaino, Turcato, alcuni dei quali storicamente legati all’estero: un nome su tutti, Mimmo Rotella con i suoi iconici decollage. E a giganteggiare, una delle Marilyn serigrafate di Andy Warhol, a testimonianza di un raggio d’azione della Vigo veramente notevole. In tutto questo, Manzoni è il perno di tutta l’impostazione dell’apparato permanente: artista geniale e per natura riluttante alle imposizioni del circuito commerciale, dalla decade precedente aveva iniziato a collaborare con il Centro San Fedele con mostre, grazie anche all’intercessione del referente Padre Arcangelo Favaro, assiduamente impegnato in quegli anni in ricerche sulle nuove tendenze. Il Corpo d’Aria, l’Uovo con impronta, il Pacco e le celeberrime Scatolette, esiti più clamorosi della sua linea di lavoro perennemente controcorrente, sono raccolti in questi ambienti magici, che rifulgono di omaggi alla designer, come una produzione su perspex di Gio Ponti, con cui Vigo collabora negli anni “60. Nel nuovo assortimento, in continuità ideale con il resto del percorso museale che offre ampio risalto al Novecento, non mancano i principali animatori del Gruppo Nul, corrispettivo danese dello Zero italiano, per una panoramica europea sull’arte del cambiamento che ha segnato con decisione il secondo dopoguerra. 

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