Non siamo a Firenze, lontani chilometri da efferate congiure medicee. Anche se a veder bene, un identificabile Federico III da Montefeltro, fra i tanti personaggi qui magistralmente ricreati, ci apre una finestra privilegiata su quegli eventi drammatici a cui, come la storia sembra suggerirci, pur senza limpide certezze, prese parte anche lui in veste di mandatario. È un ricettacolo di arte del rinascimento, il Cortile dei Pazzi di Osnago. Una grandiosa celebrazione contemporanea di un legame forte e genuino che il poliedrico artista Bruno Freddi ha stabilito con la “sua” gente, accogliente e riservata al contempo. Quella di un paese serafico dove dagli anni “90 il creativo montevecchino – originario di Mantova – ha scelto di insediarsi con il suo atelier.
Bruno Freddi, una guida artistica e spirituale per Osnago
Così si è lasciato ispirare dalla ineffabile tranquillità di un luogo magnetico, che proprio grazie al suo intuito sperimentatore in tempi recenti ha trovato un equilibrio esemplare nell’atmosfera emanata, agli occhi della comunità locale e dei visitatori esterni, con un contrappeso stilistico coraggioso alle sontuose ville d’epoca che ne ingentiliscono il centro storico: un museo a cielo aperto di Street Art con pochi eguali al mondo per la cornice ospitante, non il classico circuito culturale effervescente e dal richiamo di pubblico assicurato come può vantare Milano, onorato ogni due anni con il festival multidisciplinare La Voce del Corpo. Un’esperienza lungimirante che in poco più di una decina d’anni si è guadagnata la palma di eccellenza riconosciuta a livello internazionale. A pochi passi da questo mondo pubblico, il versatile maestro ha quindi voluto esprimere, in una cornice privata e un po’ più intima, una sincera gratitudine verso la realtà che lo ha accolto, e che lui ha già ampiamente contraccambiato con la moneta culturale, ancora nel pieno di una carriera sfolgorante in cui ha saputo svariare dall’arte pittorica alla scultura, passando per la produzione orafa (sue due delle celebri copie della corona ferrea), sconfinando fino al terreno performativo con l’istituzione nel 1997 della compagnia Oloart, specializzata in esibizioni di teatro-danza giapponese Butoh. Con una costante che spesso ritorna, riscontrabile nella forte attenzione alla componente spirituale, che trova l’apoteosi proprio nelle rappresentazioni di Butoh.

Rivisitazioni umanistiche e citazioni mitiche “a secco”: il Cortile dei Pazzi
Questi 100 metri quadri di pittura a secco, nati nel 2012, in un vecchio cortile del centro storico osnaghese su cui guarda il suo laboratorio, che dall’aspetto sembra non aver risentito minimamente dell’incedere del tempo, sono un ulteriore manifesto del suo spumeggiante eclettismo, con accesso facile fronte strada. Tre porzioni, due pareti laterali e la volta a botte, in cui si alternano personaggi che ruotano attorno alla sua vita a ritmi creativi sostenuti, rivisitati in abiti rinascimentali: sono i “Pazzi”. Tra loro si distinguono due persone care all’artista per l’impegno nello spargere cultura, Ester e Giuseppe Brivio, immortalati con i panni che ci rimandano subito, anche per la forte somiglianza di alcuni tratti somatici, all’inconfondibile dittico con il Doppio ritratto dei duchi di Urbino, il mecenate Federico da Montefeltro e Battista Maria, di Piero della Francesca. Le composizioni si alternano senza soluzione di continuità, tra realtà e immaginazione: in un quadretto dallo spirito mitico e patriottico, ecco impressionata la coppia con la musa della musica e una simpatica personificazione dell’Italia che distribuisce la fortuna, rappresentata con il tricolore e i pappagallini che pescano foglietti colorati, una scena catturata di persona dall’artista a Roma negli anni “60.
Sull’altro lato si staglia il terzetto di dignitari dell’insuperata Flagellazione di Piero della Francesca, i cui volti suggeriscono un collegamento mentale agevole per chi vive Osnago, ad ex amministratori comunali osnaghesi (Paolo Strina, Marco Molgora e Alessandro Pozzi). Proseguendo in un viaggio tra passato e presente, si scorgono altri volti familiari per l’arte, non solo alla scala del territorio brianzolo: da Andrea Cereda a Mauro Benatti, alla critica d’arte Simona Bartolena e all’appasionato d’arte Claudio Ripamonti. Sulla stessa parete ecco materializzarsi altri infaticabili amici dell’artista: il tipografo dei librini in edizioni ultralimitate, Alberto Casiraghy, un altro totem vivente di un’arte colta e lirica, il fratello musicista Marco, l’organizzatore di spettacoli ed eventi teatrali, Michele Ciarla, e la violoncellista Marcella Schiavelli. Non manca l’omaggio ai proprietari del cortile che hanno concesso l’operazione che ha ridisegnato totalmente la percezione estetica del luogo.
Ma le sorprese rivestono con il buon gusto davvero ogni centimetro del manufatto: la conferma si osserva al centro della volta, dove è visualizzabile l’eterno mito del Ratto di Europa, immortalato nel punto cruciale del racconto: quando la giovane, già sedotta dalla mansuetudine di Zeus sotto le mentite spoglie di un toro, è già in viaggio per mare verso Creta, dove presto verrà violentata dalla divinità delle divinità, nel frattempo trasfigurata nelle sembianze di un’aquila. Ma un poliedrico per natura come Freddi non poteva esimersi da contaminazioni stilistiche con l’arte moderna: e allora ecco che soffermandosi con più attenzione su questa incantevole attrazione a cielo aperto, spuntano riferimenti all’irriverenza di Duchamps, per uno straordinario esempio di arte totale che attinge a modelli distanti fra loro anche mezzo millennio, facendoli convivere senza evidenti stonature. Un colpo di genio, frutto dell’intuito di un “visionario con i piedi per terra”.
